Una lunga lunga lunga passeggiata fino al Monte Cornacchia


Per sabato 30 luglio era stata vagheggiata un’escursione sul Monte Corvo, meta di cui si parla ormai tra gli “aria sottili” da molto tempo e che suscita grandi aspettative anche in chi, come me, c’è già stato più di una volta. Poi per alterne vicende ci siamo trovati a ripiegare su un altro obiettivo e, tanto per rimanere in tema di volatili, abbiamo optato per il Monte Cornacchia, quello del PNA. L’idea era quella di una tranquilla e spedita passeggiata con l’obiettivo di ripiegare in uno dei paesini della Vallelonga per consumare assieme un sacrosanto pranzo in trattoria. In auto siamo saliti sopra a Collelongo e parcheggiato al valico dei Prati di S.Elia, località amena ad oltre 1.500 metri, il che lasciava presagire un dislivello di certo modesto per salire fino alla nostra vetta del giorno. La passeggiata prende avvio sulle ampie radure che marcano l’inizio della Serralunga tra prati ancora bagnati della rugiada notturna ed una luce scintillante che ci illumina di lato: il sole ancora basso marca con tinte forti la dorsale cha va dal Viglio al Deta e prende forma una cartolina che tante volte abbiamo visto in relazioni di altri che ci hanno preceduto su questa panoramicissima balconata. Procediamo a passo lesto ma non senza memorizzare (nelle nostre menti e nelle macchinette fotografiche) gli ampi panorami che sin da subito si sono aperti in ogni direzione. Schernendoci sulla facilità dell’escursione che ci attendeva e considerata l’andatura veloce che riuscivamo a tenere ipotizzavamo una veloce discesa a valle, forse in anticipo sull’ora del pranzo, forse anche in tempo per dare una mano in cucina!! Ci sembrava tutto perfetto, facile, troppo facile ... ed invece … non avremmo mai dovuto sottovalutare una dorsale a cui hanno messo nome Serralunga! Dunque, intorno alle 7 di mattina, dopo una velocissima prima salita affrontata quasi di corsa per riscaldarci dalla rigida temperatura del versante ancora in ombra inizia un lunghissimo saliscendi che si snoda tra ampie creste, gobbe tondeggianti, valloncelli e un bellissimo bosco di faggi che potrebbe essere abitato da elfi, gnomi e fate: i chilometri scorrono via ma l’altimetro è sempre piantato attorno ai 1.700, il paesaggio è comunque vario e l’escursione si va rivelando di grande soddisfazione. Per chi vuole ripercorrere il sentiero cè da dire che dal valico, verso sud, si devono seguire le evidentissime tracce di una carrareccia fino alla visibile stazione di rilevamento dati ambientali posta sul punto più alto del primo tratto di dorsale; dopo le tracce sono meno evidenti ma comunque così chiare da non destare problemi di orientamento. Solo arrivati in prossimità del bosco delle fate, dove quasi sembra non esserci più sentiero per proseguire, occorre fare attenzione a delle formazioni rocciose sulla sinistra del percorso. Un segnavia sbiadito con tanto di freccia ancora più sbiadita indica di piegare a destra rispetto alla dorsale fin li percorsa, indica il Rifugio Coppo dell’Orso. Invia direttamente sul fronte del bosco dove solo avvicinandosi si notano altri segnavia sbiaditi ad indicare l’imbocco di un placido quanto comodo sentiero tra gli altissimi fusti di una faggeta ordinata. Attenzione a non mancare questo imbocco, facile ma non scontato. Continuiamo il racconto della giornata; dai e dai, cammina e cammina gli orizzonti mutavano così lentamente che qualche curiosità, piuttosto che sospetto, si stavano impadronendo di noi; visto che stà Serralunga sembrava non finire mai, approfittiamo di un incontro inaspettato per chiedere conferme sul percorso da seguire. Un signore che se ne sta solitario a gustarsi il panorama, gratificato dal poterci illuminare ci indica il Cornacchia all’orizzonte: un monticello piccolo piccolo e ancora tremendamente, tanto, tanto lontano, dietro ad un numero infinito di erbose verticalità, ognuna delle quali per noi poteva essere, ma ovvio che si trattava di sola speranza, la nostra meta! Ci siamo guardati bene dal farci notare, ma il silenzioso assenso con cui abbiamo preso le sue indicazioni stava a dimostrare la nostra delusione ed il morale che stava subendo una caduta verticale. Ma lì eravamo, il Cornacchia avevamo puntato e la giornata si doveva concludere con un successo; probabilmente ognuno di noi ha per un attimo pensato al tavolo apparecchiato che ci avrebbe dovuto aspettare a valle e che stava cominciando a sfumare. Il GPS poi ha dato il suo verdetto: avevamo percorso 6 km e verosimilmente ce ne aspettano altrettanti: non rimaneva che accentuare il passo anche perché eravamo senza cibarie, o meglio, Doriano ed io ne eravamo sprovvisti, Luca previdente, invece si era portato ben tre panini. Ovvio che in caso di necessità li avrebbe divisi a carissimo prezzo; non rimaneva che accelerare ancora di più il passo. Dopo circa un paio d’ore di marcia arriviamo ad un punto di svolta, su una sella in vista del M.Breccioso, dopo circa un chilometro dalla stele posta nel Luglio dello scorso anno a memoria del caduto Maresciallo Giovanni Fusarelli, travolto da una valanga durante una missione di soccorso nel Febbraio del 1991, dove l’orizzonte si spalanca finalmente sulla nostra montagna, ahimè ancora piccola e lontana, dobbiamo decidere se e verso dove abbandonare il sentiero che va al Rifugio Coppo dell’Orso per puntare alla nostra meta senza allungare ulteriormente il tragitto: Doriano sale su un montarozzo li vicino e scruta l’orizzonte così che comincia una blanda negoziazione tra lui lassù che dice di intuire bene lo sviluppo di un percorso diretto al Cornacchia e noi due più sotto che vorremmo proseguire scontornando un largo giro che, si vedeva benissimo, ci avrebbe portati alla meta abbastanza comodamente. E invece abbiamo seguito senza tanta resistenza la nostra vedetta; ma chissà cosa avrà visto da lassù?? E dire che un sospetto sarebbe stato pure fondato riguardo alla bussola biologica di Doriano che un’ora prima, uscito da un boschetto, si era assertivamente diretto esattamente all’opposto di dove saremmo dovuti andare e, se non lo avessimo fermato, ci avrebbe riportato dove avevamo parcheggiato! Vabbè andiamo a prendere questa scorciatoia e, scontorna scontorna, giriamo attorno al colle Vallanetta, un duemila mancato di soli 14 metri che in teoria poteva anche essere collegato alla dorsale nord del Cornacchia ma che invece ne è risultato separato da un profondo intaglio che avremmo dovuto inevitabilmente scendere; ci fermiamo a fare una merendina a quota 1.880, il massimo fino a quel momento, siamo solo 100 metri al di sotto del Cornacchia ma … purtroppo separati dai suoi contrafforti. Bene si riparte e “santiando” si tocca il fondo della forra; al chè scandisco a Luca che, come al gioco del monopoli, siamo tornati sui fatidici 1.700 e lui, che detesta perdere quota, mi intima il silenzio. Alzo lo sguardo al cielo ed il Cornacchia è tornato lassù, tanto in alto, mentre la nostra prode vedetta parla della qualsiasi, cercando di sviare il discorso dalle sue colpe per aver ‘visto’ un percorso in realtà inesistente. Possiamo comunque dire che abbiamo aperto una nuova via di salita al Cornacchia, per certi aspetti anche suggestiva visto che si sviluppa dentro un canale scavato dalle acque del disgelo e ricco di una vegetazione fittissima (tra cui segnalo, per chi ci volesse andare scientemente, ampia presenza di saporitissime fragole). Insomma, dopo un ultimo strappo su per un brecciaio siamo in vetta e d’improvviso ci ritroviamo avviluppati da un grandioso panorama a 360 gradi! In fondo si possono avere grandi emozioni anche su questo semplice 2003 che si staglia altissimo sulle valli circostanti. Con uno scambio di abbracci ci trasferiamo reciprocamente la gioia di essere arrivati sin lì; il Cornacchia è nuovo per tutti e rappresenta un traguardo importante, specie per Doriano che è ormai a due passi dal traguardo della 200ma vetta. Qualche foto e poi dobbiamo subito prendere la via del ritorno perché sono le 11 e ci aspetta un bel po’ di strada, undici chilometri e tre, tanti ne abbiamo fatti per arrivare al Cornacchia. Al ritorno seguiamo un sentiero ben tracciato tanto che, non dovendoci concentrare sul passo, abbiamo modo di attaccare una lunga conversazione su temi di alto spessore spirituale; ad un certo punto, complice anche la distrazione che ci aveva preso per le dotte speculazioni, Doriano ci porta ancora una volta un po’ fuori strada così che dopo un conciliabolo Luca ed io decidiamo di interdirlo dal ruolo di capofila altrimenti chissà oggi quando arriviamo! Per dirla breve, dalla vetta del Cornacchia si è percorsa la cresta fin sotto il Tre Confini, senza salirlo. L’evidente sentiero che lo taglia a mezza costa, serpeggiando con ampie svolte tra le tante rotonde sommità del territorio si ricongiunge al sentiero di andata proprio nei pressi del Monte Breccioso. Il passo è lesto ma la strada non sembra finire mai e l’ipotesi della trattoria rischia seriamente di svanire; riconosciamo il sentiero, oltrepassiamo la sella e perdiamo di vista il Cornacchia, di nuovo la stele a memoria del Maresciallo Fusarelli, pensiamo di essere a buon punto ma è solo la fame che ci fa illudere. Il pascolo dell’andata, il luogo dove avevamo incontrato quel signore che ci aveva dato le indicazioni tacendo probabilmente volutamente la distanza che ci divideva ancora dalla nostra meta, quando ecco, finalmente, l’orizzonte si apre di poco e riconosciamo i tratti di una carrareccia che si alza sopra lo spiazzo da cui siamo partiti; almeno la meta è visibile, anche se non proprio dietro l’angolo. Si ripeteva la situazione dell’andata quando ci si era paventato il Cornacchia ad una distanza superiore rispetto a quella che ci eravamo immaginati. Rincuorandoci a vicenda e confortati dal fatto che la Serralunga ormai ci toccava quasi interamente in discesa ci siamo fatti forza a vicenda. Ormai è fatta, anche oggi si mangia, ci siamo detti, non valeva certo per Luca che i suoi panini uno dopo l’altro avevano preso la via dello stomaco ( tutti meno uno, quello che spettava da tradizione e obbligatoriamente a Dancan, l’amato lupo di casa)! Nonostante i chilometri di marcia che si ammucchiavano nelle nostre gambe filavamo veloci. Io, Doriano, aspettavo il momento dell’andata, quello in cui ho perso la direzione, quello, a dirla tutta in cui la mia bussola ha davvero fatto tilt. Aspettavo quel punto esatto, lo avevo quasi riconosciuto, sapevo che c’ero vicino e che lì bisognava deviare per entrare nel bosco, ascoltavo i commenti di Giorgio che col suo fidato GPS controllava che non uscissimo dal tracciato e …. mi sono perso di nuovo. Di nuovo in quel punto stranissimo per me non ho capito più niente. Mi sono messo con l’indifferenza più assoluta, con “nonchalance” direbbero i cittadini, non di certo i montanari come noi, a pendere dalle decisioni dei miei compagni. Una grande stele su in cima alla cresta, un cippo di confine probabilmente, ha sviato le attenzioni. L’incrocio lo avevo di nuovo oltrepassato, i miei compagni me lo fanno notare ma per non ritrovarmi nel generale ludibrio che mi sarebbe toccato avevo rimarcato la curiosità del momento e l’importanza della piccola deviazione per non perdere il cippo di “albriziano” esempio. Devo dire che ne è valsa la pena. Faccio ora pubblica ammenda però. Mi ero perso di nuovo, nello stesso tratto e con lo stesso criterio. Chissà, in quel punto mi è succcesso la stessa cosa che accade alle balene o alle oche quando si ritrovano fuori dal loro percorso. Sono le 13.30 quando tocchiamo la base al valico dei Prati di S.Elia ed abbiamo sotto i piedi poco meno di 23 chilometri e oltre 1.000 metri di dislivello complessivo; in definitiva siamo molto soddisfatti per aver arricchito l’escursione con qualche variante che forse l’avrà resa più impegnativa ma che ci ha dato la possibilità di conoscere meglio una bellissima dorsale in cui potrà essere interessante tornare in autunno, con la prima neve. Appena entrati in paese, alla prima svolta incrociamo una trattoria dove il gestore ci accoglie a braccia aperte: mentre la signora in cucina ci prepara delle ottime fettuccine con funghi e tartufo, degustando dei salumi,formaggi e sott’oli fatti in casa che l’unica cosa che hanno ottenuto è stata quella di provocare delle voragini nei nostri stomaci, scambiamo un po’ di impressioni sui monti circostanti con il ragazzo che apparecchia la tavola. Seppure nella semplicità del luogo il finale della nostra escursione assume i tratti di pieno appagamento, prima per la vista ed ora per il palato! Io devo guidare e quindi mi autocondanno a limitare il consumo di vino, Montepulciano ovviamente, ma a finire la bottiglia ci pensano i miei compari d’avventura e da ultimo mi tocca anche rinunciare al digestivo a base di radici di genziana fatto in casa: dai languidi sospiri di Luca e Doriano e dallo sguardo perso dei due intuisco che si tratta di una cosa veramente speciale … a me non resta che apprezzarne il profumo! Scritto con grande divertimento a quattro mani; da Giorgio che ha steso la trama principale del racconto della giornata e da Doriano che ha voluto colorare alcuni passaggi divertenti della giornata ed aggiungere qualche riferimento per chi volesse coscientemente ripetere i nostri maldestri ma divertenti gesti. A chi ha la pazienza di leggerci, il compito di individuare le due penne.